24 luglio 2020

Il Tempio di San Sava - Belgrado



A Belgrado, in Serbia, è ancora in fase di costruzione il Tempio di San Sava, la più grande chiesa cristiana ortodossa al mondo. E’ stato iniziato nel 1935, consacrata nel 2000 e ancora incompleto perché mancante di molti abbellimenti interni.  Si trova sull’altopiano di Vračar, in un luogo dove si svolsero avvenimenti storici riguardanti il santo a cui il tempio è dedicato.





San Sava di Serbia (1174-1235), il cui vero nome era Rastko Nemanjić, è stato il primo arcivescovo ortodosso serbo, patrono della Serbia e protettore dell’istruzione e della medicina, figlio del fondatore dello Stato medievale serbo Stefano Nemanja e fratello del primo re serbo Stefano Prvovenčani.



A 17 anni si ritirò nel monastero russo-ortodosso di S. Panteleimon nel Monte Athos, dove fu ordinato monaco con il nome di Sava, in onore di San Sava il Grande, fondatore del monachesimo palestinese. Verso la fine del 1198 ottenne dall’imperatore bizantino Alessio III il permesso di occupare il monastero abbandonato di Hilandar. Ritornò in Serbia, nel monastero di Studenica, solo quando nel 1204 gli effetti della caduta di Costantinopoli furono avvertiti nelle comunità del Monte Athos. Condusse una vita intensa allacciando rapporti sia con la Chiesa di Roma, che compiendo viaggi come ambasciatore del re bulgaro Ivan II Asen, dopo che la Serbia, sconfitta dalle truppe bulgare nel 1230 nella battaglia di Filippopoli, fu annessa alla Bulgaria. Al ritorno dal suo estenuante viaggio, come ambasciatore del regno, decise di partecipare a una cerimonia religiosa nella capitale bulgara dell’epoca Turnovo, dove durante il rito della Benedizione delle Acque, si ammalò di polmonite e morì nel 1235. Le sue ossa furono spostate nel monastero di Mileševa, situato nella Serbia meridionale, e nel 1594, durante la dominazione ottomana, il gran visir Sinan Pascià ordinò sia di dare alle fiamme il monastero che di esumare il corpo del santo per bruciarne i resti sull’altopiano di Vračar. Il gran visir prese queste decisioni per evitare il grosso afflusso di pellegrini che venivano a venerare il santo cristiano ortodosso e per umiliarne pubblicamente il culto.



Si decise di costruire questa chiesa imponente, in questo luogo, già a partire dal 1895, pochi decenni dopo la conquista dell’indipendenza dall’impero ottomano, per santificare il luogo in cui i turchi avevano fatto scempio della salma di San Sava. In questo luogo, al momento, tutte le celebrazioni si svolgono nella piccola chiesa commemorativa di San Sava, eretta nei primi anni del ‘900. I lavori del tempio subirono un arresto dal 1941 al 1984, prima con l’occupazione e i bombardamenti tedeschi poi a causa del nuovo governo jugoslavo che non riteneva opportuno riaprire il cantiere. Oggi, anche se ancora incompleto, è visitabile.






Nel parco adiacente spiccano due monumenti, quello allo stesso san Sava sul lato nord, e quello al principe Karađorđe Petrović (1752-1817), il primo sovrano che ottenne l’indipendenza dall’impero ottomano, dando vita al Principato di Serbia.


13 luglio 2020

Gli Aleviti di Turchia

Pippo Trezza ha visitato in Turchia un luogo di culto particolare: il mausoleo di Hacı Bektaşi, un Santo sincretico vissuto nel XIII secolo, venerato soprattutto dagli aleviti. Gli aleviti in Turchia sono circa 15 milioni, il 20% della popolazione. Gli aleviti non sono e non si considerano musulmani, anche se nei documenti sono segnati come tali. Gli aleviti sono kemalisti, difensori dello stato laico. Non pregano nelle moschee ma nella loro cemevi (case di preghiera). Nella dottrina aleviti grande rilevanza è posta sull'uguaglianza dei sessi, infatti le donne non si coprono il capo per pregare. Molto importante è il rilievo nell’istruzione che è considerata una delle quattro porte di accesso a Dio, gli studi non riguardano soltanto la teologia ma anche la scienza, la filosofia, la letteratura. I venerati degli aleviti erano tutti Sufi. Una frase di Yunus Emre (coevo di Bektaşi) dice: ‘amo il Creatore attraverso le sue creature’. 

Molti aleviti gli hanno confidato di sentirsi più vicini a Gesù che a Maometto. Gli aleviti di Turchia naturalmente sono contrari e addolorati per la riconversione di Ayasofya in moschea.




Qualcosa di più sul culto degli Aleviti a cura di Pippo Trezza.

Sulla classificazione religiosa degli aleviti vi sono almeno quattro ipotesi che negano la loro appartenenza all’islam. Ciascuna di queste interpretazioni è sostenuta da gruppi di fedeli in Turchia e all’estero, spesso trasversali rispetto ai raggruppamenti etnico-culturali (gli aleviti sono ancora prevalentemente endogami) e alle tradizioni storiche dei diversi gruppi:

1) L’alevismo non è una religione ma una cultura (anatolica) e una filosofia di vita (interpretazione materialista);

2) L’alevismo è il risultato di un processo di marginalizzazione storica delle popolazioni anatoliche, prevalentemente di lingua iranica (kurmanci, zaza) esteso gradualmente anche ai turchi, che opposero resistenza all’assimilazione del potere sunnita selgiuchide e ottomano mantenendo una forma pre-islamica di religione con diversi adstrati da altre fedi (interpretazione marxista: i kizilbas come rivoluzionari ante litteram);

3) Gli aleviti non sono musulmani e hanno costruito una identità che ha poco o nulla dell’islam ma che da esso ha preso alcuni riferimenti per convivenza culturale;

4) Gli aleviti si oppongono all’Islam, rifiutando le dottrine islamiche di divinità e profezia e continuando la religione zoroastriana (nel caso dei curdi) o l’antica religione turca (ossia il tengrismo, nel caso dei turchi) (interpretazione politica)




Ribadisco che queste versioni sono rappresentate dagli stessi aleviti, suddivisi in diversi gruppi molto variegati tra di loro. La rinascita dell’alevismo a partire dagli anni 80 del secolo scorso è facilitata dalla libertà che gli aleviti immigrati hanno potuto godere nei Paesi europei. Accanto a queste interpretazioni vi è la visione “canonica” (ma oggi minoritaria) che l’alevismo sia una corrente dell’Islam (sulla cui problematicità dirò più avanti) e una serie di dissertazioni accademiche che inquadrano il problema da un punto di vista scientifico, reso però difficile dalla quasi totale assenza di fonti scritte in materia dottrinaria.

Per capire meglio il problema di classificazione dell’alevismo (come di una qualsiasi movimento religioso) voglio però fare una puntualizzazione sul metodo. Le religioni possono essere analizzate sotto l’aspetto storico, diacronico o sotto quello comparativistico, sincronico. Io, per mia formazione, sono un comparativista. Le interpretazioni di cui sopra sono invece un esempio di classificazioni storiche di un movimento religioso. L’approccio comparativo-sincronico prescinde in un certo modo (ma non totalmente) dal contesto storico per rinvenire alcune costanti nelle religioni del mondo e “comparare” appunto diverse tradizioni religiose. La comparazione è resa possibile, come nello studio comparato delle lingue, perché alcuni elementi costitutivi delle religioni si mantengono costanti attraverso i mutamenti cronologici, anche laddove una popolazione subisce una conversione in massa. Rispetto alle lingue, però le religioni si sono dimostrate molto più conservative, per tanto il lavoro comparativistico è più agevole rispetto alla ricostruzione filogenetica delle lingue. I testi di riferimento per la comparatistica delle religioni sono molti, cito tra tutti il Trattato di storia delle religioni del grande Eliade e l’opera summa di Lévi-Straus sull’unità dei miti dell’umanità.

Torniamo all’interpretazione secondo cui l’alevismo sarebbe una corrente dell’islam, che lo vuole differente dal sunnismo, con il quale ha da sempre pessimi rapporti, ma anche dallo sciismo duodecimano dal quale invece ha preso in prestito buona parte del suo repertorio mitologico. Il problema è che già sostenendo questa ipotesi ci si pone concettualmente e storicamente al di fuori dell’Islam. Di fatto sunnismo e sciismo non sono correnti o versioni differenti dell’Islam, ma come è noto due ramificazioni politiche che la comunità di fedeli assunse agli albori dell’Islam: la Shi’a Ali, il partito di Ali, si formò quando ancora era in vita il profeta, ed è in base a questa vicinanza-amicizia (walaya) che gli sciiti rivendicano l’originalità della loro ierofania (manifestazione del sacro, secondo il linguaggio di Eliade). Vi sono differenziazioni dottrinarie rilevanti tra sunnismo e sciismo (il quale è a sua volta suddiviso in sciismo settimano e sciismo duodecimano e altre piccole ramificazioni), ma rimangono costanti alcuni elementi che senza dubbio appartengono all’islam: il monismo, il riferimento imprescindibile al libro rivelato, i 5 pilastri dell’Islam. Orbene, questi elementi non sono riscontrabili nell’alevismo: che non è monista affatto, non fa quasi mai riferimento al Corano, non osserva i 5 pilastri dell’Islam. Oltre a queste macroscopiche differenze vi è il problema del sostrato spirituale dell’alevismo che è complesso e differente da quello propriamente islamico (politeismo arabo e monoteismo iranico). Il sostrato alevita è la religione turca, lo sciamanesimo, il tengrismo, che non è monismo ma panteismo. Vi sono inoltre presenti forti elementi di dualismo, soprattutto nelle varianti balcaniche collegabili al coevo bogomilismo e in ultima istanza allo zoroastrismo ma non persiano, bensì direttamente centroasiatico (oggi si pensa che la figura di Zoroastro risalga a circa 1000 anni prima di Cristo e venga da una zona dell’Asia centrale a nord del Khorasan). Ecco perché, dopo attente riflessioni e con l’esperienza di un pellegrinaggio in uno dei principali santuari aleviti (una bellissima e toccante emozione!) mi sento di dire, forse anche enfatizzandolo, che l’alevismo in realtà non è Islam, pur essendosi sincretizzato nell’Islam. Ribadisco che è la mia interpretazione e che per me va benissimo se uno dice che l’alevismo è una corrente dell’islam. 

Da notare che il primo riconoscimento ufficiale degli aleviti come comunità religiosa indipendente è avvenuto recentemente in Austria, grazie anche al contestato Islamgesetz (legge sull’Islam): prima chiesero di registrarsi come “comunità islamica alevita in Austria”. Venne loro rifiutata la registrazione dal ministero competente. Fecero ricorso costituzionale, e la Corte (in ottemperanza anche a delle norme europee sulla libertà religiosa) concesse la registrazione. Successivamente fecero istanza per cambiare nome e ora in Austria si chiamano “comunità alevita in Austria.”






03 luglio 2020

Notre-Dame d'Afrique - Algeria




La basilica di Nostra Signora d'Africa (Notre-Dame d'Afrique) è una chiesa cattolica di Algeri, che ha la dignità di basilica minore dal 1876. La Storia di Nostra Signora d’Africa inizia nel 1846 con la devozione e il fervore di due donne pie, Anne Cinquin e Agarite Berger. In una piccola fessura di un albero mettono una statua della Vergine e, a lei, recitano il loro rosario. Iniziano ad unirsi sempre più persone, tanto che Mos. Pay, secondo vescovo di Algeri, decide di costruire una grotta artificiale dove collocare una statua chiamata ‘Stella del Mare’ o ‘Nostra Signora della Grotta’, che diventa ben presto luogo di preghiera.




Su richiesta delle sorelle del Sacro Cuore di Lione, che volevano un luogo adatto per la statua della ‘Vergine Fedele’, inviata in dono al vescovo Dupuch, mos. Pay decide di costruire una chiesa nel 1855. La statua cambia nome in ‘Madonna dell’Africa’. Si tratta di una statua in bronzo, copia di un’opera di Bouchardon, che, una volta riccamente vestita, dà l’idea di essere scura di pelle, per questo viene anche chiamata la  ‘Vergine nera’.




La costruzione della chiesa iniziò nel 1858, ma l’arcivescovo Pavy mori senza vederne il termine, per un infarto, nel 1866. I lavori verranno completati, sotto la supervisione dell’arcivescovo Lavigerie, nel 1872 e nello stesso anno verrà consacrata. Nel 1873 la gestione di questa nuova chiesa verrà affidata sia ai Missionari d’Africa (Padri Bianchi) che alle Suore missionarie (Suore Bianche). Dal 1897 al 1930 sarà in gestione del clero diocesano di Algeri e poi di nuovo ai Padri Bianchi. 




Racconta la storia di questa chiesa che trovandosi in cima a un promontorio alto 124 metri, i pellegrini scalavano la costa a piedi nudi recitando il rosario ad alta voce. I pescatori facevano benedire le reti e le donne musulmane inviavano invocazioni a ‘Lalla Meryem’ che in lingua berbera significa ‘Signora Maria’.
Le giovani spose cattoliche, e talvolta quelle ebree deponevano  la loro corona di fiori d’arancio in questo luogo. A questo luogo non è associato nessun miracolo ma solo il rilascio di numerosi schiavi cristiani, per intercessione della Vergine. 
Questo santuario rimane un luogo privilegiato per incontri, dialoghi e condivisione con i musulmani. 


La Basilica è stata fortemente danneggiata dal sisma del 2003 ed è rimasta chiusa fino al dicembre 2010. E’  stata classificata nella lista dei beni culturali algerini come monumento storico dal 2012.
Nell'abside semicircolare si trova un'iscrizione che recita: "Notre Dame d'Afrique priez pour nous et pour les Musulmans" (Nostra Signora d'Africa pregate per noi e per i Musulmani). L'invocazione, oltre che in francese, è riportata in arabo e in cabilo (un dialetto berbero). Il decoro in ceramica, sopra la statua della Vergine, è opera di un artista algerino musulmano, Mohamed Boumehdi, come pure gli ornamenti della statua in velluto blu, oro e argento sono realizzati da un maestro di Tlemcen. 





In Francia, e precisamente a Théoule-sur-Mer in Costa Azzurra, esiste una replica simile a quella della Basilica di Nostra Signora d’Africa ad Algeri, alta 12 metri, in omaggio ai civili uccisi durante la guerra algerina del 1830. La statua della Vergine Nera sorge su una collina, raggiungibile dopo un sentiero, in uno scenario incantevole con, come sfondo, le rocce rosso vivo che scorrono nel blu del Mediterraneo. Ogni anno si commemorano le vittime con una processione dove partecipano personalità militari e religiose.





02 luglio 2020

La Cappella Palatina di Palermo




E’ un gioiello nascosto in uno scrigno, per trovarla infatti bisogna entrare dentro il Palazzo Reale di Palermo, oggi noto come Palazzo dei Normanni e dedicato a San Pietro, e salire al primo piano. La piccola Cappella Palatina è un capolavoro dell’arte antica, in stile gotico-normanno, ed è stata costruita nel 1132 per volere di Ruggero II d’Altavilla, primo re normanno di Sicilia che la utilizzò come cappella privata dalla sua consacrazione nel 1140. 




La sua bellezza è concentrata in un piccolo spazio di 33 metri per 13, ma appare finemente decorata con mosaici in stile bizantino nella cupola, nel transetto e nelle absidi, nonché nelle navate. Dio è luce e non a caso la scelta del colore e del materiale principale è proprio l’oro. Viene raffigurato il Cristo Pantocratore, gli apostoli e una lunga serie di scene dell’Antico e Nuovo Testamento, a cominciare dalla creazione del mondo e da Adamo ed Eva. Rappresenta un vera e propria Bibbia illustrata dell’antichità, di facile lettura e comprensione per tutti coloro che non potevano contare su un’istruzione minima. 




Unico al mondo e di notevole importanza e pregio è il suo soffitto riccamente decorato con fatimita e muqarnas (stalattiti o alveoli). Questa struttura autoreggente è costituita da ben 750 tavolette indipendenti e molto sottili di abete dei nebrodi. E’ la rappresentazione del paradiso coranico, in sostanza di tutti i piacere dei sensi e dello spirito che attendono i credenti: alberi, pavoni, uomini nell'atto di mangiare o andare a caccia ma anche suonatori; scene indubbiamente appartenenti a quella iconografia profana islamica che simboleggiava l’augurio di una vita felice dopo la morte. 
Purtroppo non sappiamo nulla di tutti gli artisti che hanno lavorato con pazienza e fatica alla realizzazione di questa opera, ma qui artigiani arabi normanni e bizantini, molti sicuramente provenienti dal Nord Africa,  diedero vita a un capolavoro, a un’unione tra due mondi distinti ma simili, grazie alla politica di tolleranza di Ruggero II. 




Guy de Maupassant rimase ammirato e commosso alla visione di quest’opera, tanto da parlarne ne ‘La vie errante’ definendola la cappella più bella che esista al mondo, un sorprendente gioiello religioso sognato dal pensiero umano ed eseguito da mani d'artista, un meraviglioso insieme che rende unico questo capolavoro divino, non visibile in nessun’altra parte del mondo. 




Solo dal 3 luglio 2015 è Patrimonio dell'umanità (Unesco) nell'ambito dell'Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale.