Pippo Trezza ha visitato in Turchia un luogo di culto particolare: il mausoleo di Hacı Bektaşi, un Santo sincretico vissuto nel XIII secolo, venerato soprattutto dagli aleviti. Gli aleviti in Turchia sono circa 15 milioni, il 20% della popolazione. Gli aleviti non sono e non si considerano musulmani, anche se nei documenti sono segnati come tali. Gli aleviti sono kemalisti, difensori dello stato laico. Non pregano nelle moschee ma nella loro cemevi (case di preghiera). Nella dottrina aleviti grande rilevanza è posta sull'uguaglianza dei sessi, infatti le donne non si coprono il capo per pregare. Molto importante è il rilievo nell’istruzione che è considerata una delle quattro porte di accesso a Dio, gli studi non riguardano soltanto la teologia ma anche la scienza, la filosofia, la letteratura. I venerati degli aleviti erano tutti Sufi. Una frase di Yunus Emre (coevo di Bektaşi) dice: ‘amo il Creatore attraverso le sue creature’.
Molti aleviti gli hanno confidato di sentirsi più vicini a Gesù che a Maometto. Gli aleviti di Turchia naturalmente sono contrari e addolorati per la riconversione di Ayasofya in moschea.
Qualcosa di più sul culto degli Aleviti a cura di Pippo Trezza.
Sulla classificazione religiosa degli aleviti vi sono almeno quattro ipotesi che negano la loro appartenenza all’islam. Ciascuna di queste interpretazioni è sostenuta da gruppi di fedeli in Turchia e all’estero, spesso trasversali rispetto ai raggruppamenti etnico-culturali (gli aleviti sono ancora prevalentemente endogami) e alle tradizioni storiche dei diversi gruppi:
1) L’alevismo non è una religione ma una cultura (anatolica) e una filosofia di vita (interpretazione materialista);
2) L’alevismo è il risultato di un processo di marginalizzazione storica delle popolazioni anatoliche, prevalentemente di lingua iranica (kurmanci, zaza) esteso gradualmente anche ai turchi, che opposero resistenza all’assimilazione del potere sunnita selgiuchide e ottomano mantenendo una forma pre-islamica di religione con diversi adstrati da altre fedi (interpretazione marxista: i kizilbas come rivoluzionari ante litteram);
3) Gli aleviti non sono musulmani e hanno costruito una identità che ha poco o nulla dell’islam ma che da esso ha preso alcuni riferimenti per convivenza culturale;
4) Gli aleviti si oppongono all’Islam, rifiutando le dottrine islamiche di divinità e profezia e continuando la religione zoroastriana (nel caso dei curdi) o l’antica religione turca (ossia il tengrismo, nel caso dei turchi) (interpretazione politica)
Ribadisco che queste versioni sono rappresentate dagli stessi aleviti, suddivisi in diversi gruppi molto variegati tra di loro. La rinascita dell’alevismo a partire dagli anni 80 del secolo scorso è facilitata dalla libertà che gli aleviti immigrati hanno potuto godere nei Paesi europei. Accanto a queste interpretazioni vi è la visione “canonica” (ma oggi minoritaria) che l’alevismo sia una corrente dell’Islam (sulla cui problematicità dirò più avanti) e una serie di dissertazioni accademiche che inquadrano il problema da un punto di vista scientifico, reso però difficile dalla quasi totale assenza di fonti scritte in materia dottrinaria.
Per capire meglio il problema di classificazione dell’alevismo (come di una qualsiasi movimento religioso) voglio però fare una puntualizzazione sul metodo. Le religioni possono essere analizzate sotto l’aspetto storico, diacronico o sotto quello comparativistico, sincronico. Io, per mia formazione, sono un comparativista. Le interpretazioni di cui sopra sono invece un esempio di classificazioni storiche di un movimento religioso. L’approccio comparativo-sincronico prescinde in un certo modo (ma non totalmente) dal contesto storico per rinvenire alcune costanti nelle religioni del mondo e “comparare” appunto diverse tradizioni religiose. La comparazione è resa possibile, come nello studio comparato delle lingue, perché alcuni elementi costitutivi delle religioni si mantengono costanti attraverso i mutamenti cronologici, anche laddove una popolazione subisce una conversione in massa. Rispetto alle lingue, però le religioni si sono dimostrate molto più conservative, per tanto il lavoro comparativistico è più agevole rispetto alla ricostruzione filogenetica delle lingue. I testi di riferimento per la comparatistica delle religioni sono molti, cito tra tutti il Trattato di storia delle religioni del grande Eliade e l’opera summa di Lévi-Straus sull’unità dei miti dell’umanità.
Torniamo all’interpretazione secondo cui l’alevismo sarebbe una corrente dell’islam, che lo vuole differente dal sunnismo, con il quale ha da sempre pessimi rapporti, ma anche dallo sciismo duodecimano dal quale invece ha preso in prestito buona parte del suo repertorio mitologico. Il problema è che già sostenendo questa ipotesi ci si pone concettualmente e storicamente al di fuori dell’Islam. Di fatto sunnismo e sciismo non sono correnti o versioni differenti dell’Islam, ma come è noto due ramificazioni politiche che la comunità di fedeli assunse agli albori dell’Islam: la Shi’a Ali, il partito di Ali, si formò quando ancora era in vita il profeta, ed è in base a questa vicinanza-amicizia (walaya) che gli sciiti rivendicano l’originalità della loro ierofania (manifestazione del sacro, secondo il linguaggio di Eliade). Vi sono differenziazioni dottrinarie rilevanti tra sunnismo e sciismo (il quale è a sua volta suddiviso in sciismo settimano e sciismo duodecimano e altre piccole ramificazioni), ma rimangono costanti alcuni elementi che senza dubbio appartengono all’islam: il monismo, il riferimento imprescindibile al libro rivelato, i 5 pilastri dell’Islam. Orbene, questi elementi non sono riscontrabili nell’alevismo: che non è monista affatto, non fa quasi mai riferimento al Corano, non osserva i 5 pilastri dell’Islam. Oltre a queste macroscopiche differenze vi è il problema del sostrato spirituale dell’alevismo che è complesso e differente da quello propriamente islamico (politeismo arabo e monoteismo iranico). Il sostrato alevita è la religione turca, lo sciamanesimo, il tengrismo, che non è monismo ma panteismo. Vi sono inoltre presenti forti elementi di dualismo, soprattutto nelle varianti balcaniche collegabili al coevo bogomilismo e in ultima istanza allo zoroastrismo ma non persiano, bensì direttamente centroasiatico (oggi si pensa che la figura di Zoroastro risalga a circa 1000 anni prima di Cristo e venga da una zona dell’Asia centrale a nord del Khorasan). Ecco perché, dopo attente riflessioni e con l’esperienza di un pellegrinaggio in uno dei principali santuari aleviti (una bellissima e toccante emozione!) mi sento di dire, forse anche enfatizzandolo, che l’alevismo in realtà non è Islam, pur essendosi sincretizzato nell’Islam. Ribadisco che è la mia interpretazione e che per me va benissimo se uno dice che l’alevismo è una corrente dell’islam.
Da notare che il primo riconoscimento ufficiale degli aleviti come comunità religiosa indipendente è avvenuto recentemente in Austria, grazie anche al contestato Islamgesetz (legge sull’Islam): prima chiesero di registrarsi come “comunità islamica alevita in Austria”. Venne loro rifiutata la registrazione dal ministero competente. Fecero ricorso costituzionale, e la Corte (in ottemperanza anche a delle norme europee sulla libertà religiosa) concesse la registrazione. Successivamente fecero istanza per cambiare nome e ora in Austria si chiamano “comunità alevita in Austria.”