Per un certo periodo, a Ravenna, sono vissuti in armonia due popoli con due differenti dottrine cristiane: i latini di culto ortodosso, ovvero coloro che accettavano la ‘retta fede’ stabilita dal Concilio di Nicea del 325, e gli Ostrogoti, il ramo orientale dei Goti, che seguivano la dottrina ariana considerata eresia.
Gli ortodossi e gli ariani, nonostante usassero gli stessi libri sacri, avessero gli stessi sacramenti e simile gerarchia ecclesiastica, avevano una diversa concezione della natura del Figlio, nella Trinità, rispetto al Padre e allo Spirito Santo.
Secondo la fede ariana, in quanto Figlio, il Logos-Cristo non poteva avere la stessa pienezza di divinità del Creatore e la Trinità veniva concepita in un rapporto gerarchico, verticale, in cui il Figlio era subordinato al Padre. L’arianesimo, sebbene non negasse a priori la Trinità, prevedeva quindi una differenziazione tra le nature delle tre persone divine: Dio, Padre divino e increato, il Logos-Cristo, ossia il Figlio generato al di fuori del tempo e agente del volere di Dio nella creazione di ogni cosa, e lo Spirito Santo, anch’esso generato e di diversa natura rispetto al Padre e al Figlio.
Secondo l’ortodossia, invece, così come uscita dai dibattiti conciliari del IV secolo, Dio, il Cristo e lo Spirito Santo partecipavano della stessa natura divina.
La dottrina ariana, formulata da Ario (256-336), teologo berbero ordinato presbitero in una chiesa di Alessandra d’Egitto, creò controversie prima in Egitto e poi in tutto l’Oriente. L’imperatore Costantino, per mantenere l’armonia all’interno della Chiesa, dovette promuovere il Concilio di Nicea dove si stabilì l’eresia della dottrina ariana e la condanna di Ario all’esilio. Ma il Concilio non fermò tale dottrina, che si diffuse grazie all’opera di conversione, del vescovo Ulfila (311-388), delle popolazioni di origine germanica, tra cui i Goti, Vandali e Longobardi, che progressivamente si stabilirono nei territori dell’impero romano.
Teodosio I riunì il concilio a Costantinopoli, nel 381, dove vennero ribadite, le posizioni del Concilio di Nicea, ma la riflessione sul rapporto fra le figure della Trinità e sulla natura del Figlio e dello Spirito Santo, aveva favorito il nascere di scuole di pensiero che avevano creato una divisione fra le chiese d’Oriente, filo ariane e quelle di Occidente, aderenti al credo niceno.
Se nel IV secolo le dispute teologiche avevano favorito anche problemi di ordine pubblico, nella seconda metà del V secolo la situazione era cambiata, specie a Ravenna sotto il governo di Teoderico il Grande (453-525), con una pace religiosa dove convivevano due comunità di confessione differente, con due cleri e due poli episcopali, una pace che durò fino al 518, quando l’imperatore Giustino si riconciliò con la religione ortodossa romana e si manifestarono i conflitti verso i barbari. In questo clima, dove erano già presenti edifici ortodossi, furono costruiti gli unici esempi conosciuti di edifici ariani presenti sul suolo italiano. Troviamo molte somiglianze tra i due Battisteri più importanti di Ravenna: il Battistero Neoniano, ortodosso, e il Battistero degli Ariani, con le loro raffigurazioni del battesimo del Cristo e dei dodici apostoli, ma con un diverso significato simbolico dei loro mosaici dato dalla dottrina di appartenenza.
Il Battistero Neoniano, risalente al V secolo, prende il nome dal vescovo Neone (450-475) che fece eseguire importanti lavori di restauro nel 458: l’aggiunta della cupola, al posto del tetto piatto, e la decorazione degli interni.
La sua pianta ottagonale riporta alla simbologia del numero 8 che indica la resurrezione, in quanto somma di 7, il tempo, e 1, Dio Padre. La cupola presenta un bellissimo mosaico formato da tre anelli concentrici.
Nel cerchio centrale, su sfondo oro, si trova la scena del Battesimo di Cristo con San Giovanni Battista e la personificazione del fiume Giordano, riconoscibile dalla scritta Iordañ, mentre sopra il Cristo svetta la colomba dello Spirito Santo. I volti di Gesù e del Battista non sono quelli originali, ma sono una ricostruzione del XVIII secolo. Nel secondo cerchio su sfondo azzurro, si trovano i dodici apostoli con vesti in bianco e oro, e in mano, le corone da offrire al Cristo, intervallati da candelabre e drappi bianchi, a ornamento, che formano la corolla di un fiore.
Le candelabre sono piante che si sviluppano in verticale e rappresentano, più o meno verosimilmente, il fiore dell’aloe. Questa decorazione è legata alla Passione di Cristo, poiché si tratta di fiori che nascono una sola volta nella vita della pianta, la quale, dopo aver fruttato, muore. Essi sono quindi simbolo di sacrificio.
L’anello esterno, sempre a fondo azzurro, presenta una serie di finte architetture tripartite, con una nicchia al centro di ciascuna. Sono raffigurati quattro altari con il Vangelo aperto, affiancati da sedie vuote in cui siederanno i giusti e quattro troni vuoti con le insegne di Cristo.
Anche le pareti del Battistero, all’epoca di Neone, erano decorate con stucchi raffiguranti i profeti, una volta dipinti, ma nel Novecento durante dei restauri furono erroneamente considerate delle aggiunte e quindi rimosse. Oggi se ne ammirano solo delle ricostruzioni.
Il Battistero degli Ariani, unico nel suo genere, è stato costruito tra il V e il VI secolo come parte integrante dell’antica cattedrale ariana, oggi denominata Chiesa dello Spirito Santo.
L’interno è spoglio fatta eccezione per la cupola riccamente decorata a mosaico, simile a quella del Battistero Neoniano, ma meno complessa, con solo due registri circolari.
Al centro viene raffigurato il battesimo del Cristo, con lo sguardo rivolto verso oriente, con Giovanni Battista, la personificazione del fiume Giordano e la colomba dello Spirito Santo.
Nel registro più esterno troviamo i dodici santi martiri, vestiti di bianco, divisi da esili palme, identificati con gli undici apostoli, rimasti fedeli a Gesù, e Paolo di Tarso, venerato già come santo nel IV secolo. Sono rappresentati con le mani velate, in segno di rispetto, nell’atto di offrire corone, tranne San Pietro, che offre le chiavi, e San Paolo, che porge i rotoli. Tra questi due santi, è raffigurato il trono vuoto dell’etimasia che rinvia alla seconda venuta del Cristo, con una croce gemmata adagiata su un cuscino di colore viola.
La palma tra i dodici indica vittoria, ascesa, rinascita e immortalità. Nei tempi antichi si pensava che la pianta nel fiorire e generare frutti (e quindi i semi) morisse, da qui il suo legame con il martirio come simbolo di sacrificio. La sua simbologia, presente fin dall’epoca paleocristiana è legata a un passo dei Salmi: ‘come fiorirà la palma, così farà il giusto’ la palma infatti produce un'infiorescenza quando sembra ormai morta, così come i martiri hanno la loro ricompensa in paradiso.
Il Battistero degli Ariani è una chiara semplificazione del Battistero Neoniano, a cui si ispira dal punto di vista formale e iconografico, mutando però nello stile, utilizzando il fondo in oro, per eliminare ogni implicazione spaziale e togliendo agli Apostoli, in processione, quel senso di movimento, facendoli risultare più rigidi e convenzionali. Anche l’acclamazione al Cristo ha una valenza diversa, nel Battistero Neoniano gli apostoli porgono le loro corone al Cristo che viene battezzato come figlio di Dio e perciò riconosciuto come seconda persona della Trinità, mentre nel Battistero degli Ariani gli Apostoli rendono omaggio a un grande trono vuoto con una croce gemmata e un panno purpureo, che ricordano la fisicità e sofferenza del Cristo in croce in quanto creatura umana.
L’eresia ariana si vede anche nel battesimo dove il Battista si limita a porre la mano sul capo del Salvatore mentre dal becco della colomba, che raffigura lo Spirito Santo, esce l’acqua che asperge il Cristo, annunciando agli uomini la grandezza del Figlio di Dio.